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Benvenuto nel blog della Scrivente Errante! 

Uno spazio dove conoscere una Mamma, AUTRICE degli ARTICOLI e delle RECENSIONI che troverete su questo blog, appartenente alla generazione dei Millennials di due bambine Cosmopolite, a cui spero di poter dare gli strumenti per realizzare i loro sogni ed essere FELICI! 

365 giorni in un barattolo di vetro

Strano anno quello appena trascorso. Inizio’ con la fine di un lavoro natalizio come "kitchen porter" e "glass collecter" in un ristorante scozzese. Ho ricominciato la mia vita dopo un pesante fallimento lavorativo. Gli sbagli si pagano, si dice, ed io penso di averla scontata la mia pena, lasciando per sempre la patria che mi ha dato i natali e la possibilita’ di nutrire la mia seppure insaziabile curiosita’ verso tutto cio’ che non conosco. L’ignoto e l’oscuro (e lo scuro) non mi fanno paura, anzi, mi eccitano, e non pensate male, che non penso solo a quello. Imparare cose che ignoravo mi da' una carica di adrenalina difficile da esprimere a parole. Ma ci provo lo stesso, perche’ sono partita con poche certezze in valigia, nella testa e nel cuore e una di queste e’ che nella vita voglio scrivere. Leggere, documentarmi, capire e scrivere le mie riflessioni, arrivare a una conclusione, alla risoluzione di un problema. Questa mattina, primo gennaio 2018, il primo video che sono riuscita a vedere e’ stato quello di un pizzaiolo scrittore professionista, che conosco personalmente, a proposito del problem solving. In questo video egli trasmette ai posteri come riuscire ad arrivare alla radice del problema che si ha davanti, ricordando che nulla si risolve completamente da soli. “Siamo animali sociali” diceva Aristotele, credo.


Il passato e il presente spesso si incontrano, e cosi e’ stato per me nel 2017. E' da premettere per chi non mi conoscesse che mi sono laureata in culture modern comparate a Torino ormai cinque anni fa svolgendo un lavoro di ricerca sulla narrazione televisiva italiana. Ho in pratica analizzato due narrazioni televisive, una realizzata nel 1968 e una nel 2008, focalizzando la mia attenzione sul rapporti fra generazioni diverse. Nella fiction piu’ recente, una delle famiglie protagoniste si chiamava Giorgi. E verso la fine del 2017 chi incontro? Una giovane donna, mamma da pochi mesi, che si chiama proprio Giorgi. E che, ironia del destino, si sposo’ con un indiano in India, proprio come il personaggio protagonista fiction, che chiese in sposa l’amata nella seconda stagione della serie organizzando un matrimonio nello stesso stile. Come si dice, a volte la realta’ supera la fantasia. Questa esperienza ha avvalorato la tesi che sostengo da sempre che solo l’Amore riuscira’ a mandare avanti questo mondo. Probabilmente facendoci diventare tutti pazzi e, come nella fiction, inizieremo a cantare e a ballare in mezzo alla strada o al lavoro, tra una pausa e l’altra. E perche’ no, dopotutto? A volte il modo migliore per farsi capire dalle persone e' con una canzone. Basta non dedicare al proprio superiore una canzone molto famosa di Marco Masini.


Ripercorrendo con la mente l’anno mi imbatto nel giorno in cui ho sentito di nuovo, per la prima volta, le farfalle nello stomaco svolazzare piu’ tenacemente. Ma qualcosa, a 29 anni e qualche mese, era cambiato. Quelle farfalle le aveva attivate una persona compiendo uno dei gesti piu’ naturali e puri del mondo: un bacio, che ha voluto donarmi in un pomeriggio assolato, bloccando la nostra conversazione amichevole. Un bacio improvvisato, un bacio che a ritroso e’ stato considerato un errore da lui stesso, ma in quel momento e’ stato voluto da entrambi e, se e’ stato un errore, beh, e’ stato uno dei piu’ belli che abbia mai commesso con qualcuno. E’ stato un regalo, uno dei piu’ belli che abbia mai ricevuto e non smettero’ mai di ringraziarlo. Anche se non dovessimo parlarci mai piu’.


Anche quest’anno appena trascorso e’ stato l’anno degli incontri. Ho detto prima che adoro andare incontro a cio’ che non conosco, approfondirlo, cercare di capirlo, metabolizzarlo. E questa mia curiosita’ e’ stata nutrita grazie al web e alle ricerche a qualunque ora del giorno e della notte che ho compiuto. Gli incontri che mi hanno lasciato dei brividi dentro sono stati molti. Grazie a una pagina Facebook ho avuto modo di conoscere una ragazza piu’ piccola di me, laureata a pieni voti in un corso di laurea simile al mio proprio l’anno appena passato. La sua pero’ era una gioia a meta’, come e’ stata la mia quando mi laureai per la seconda volta, perche’ entrambe avevamo perso da poco tempo una persona importante per noi. Se pero’ per quanto mi riguarda era il papa’, che ha vissuto malgrado tutto 60 anni, lei ha perso un fratello di soli 18 anni, in seguito a una malattia oscura, ignota, a cui ancora nessuno ha dato un nome ma soprattutto una cura. E questo e’ cio’ che ogni giorno mi sconvolge. Siamo nel 2018 ora, dovremo imparare che questi sono i reali problemi del nostro mondo. Non mi interessa se il mio vicino viene da un paese diverso dal mio e mangia la pizza con l’ananas: se gli piace, ben venga. – So che ho appena detto una bestemmia per i napoletani doc, ma non fraintendetemi: amo la pizza margherita o la Bufala, non ho mai neppure voluto assaggiarla la piazza con l’ananas. Forse e’ l’unica cosa che mi sono rifiutata di conoscere - .


Un altro incontro che ho avuto grazie al web, ma in questo caso non solo con Facebook, ma anche con alcuni giornali italiani e di Torino, la mia citta’ in particolare, e’ stato quello con Beatrice, “la bambina di pietra”. Bea, cosi viene chiamata affettuosamente da tutti, a pochi mesi di vita e’ andata in ospedale per un’anomalia che ha preoccupato I genitori. E qui ricordo un episodio che mi raccontarono sia mamma sia papa’ sia la mia nonna avvenuto quando avevo pochi mesi: era la fine del 1987, o forse l’inizio del 1988, ed ebbi la febbre molto alta. Mi si girarono gli occhi e svenni. Allora non parlavo ancora, ne scrivevo. Mi ricoverarono e la diagnosi nel mio caso ci fu: idrocefalea, che fortunatamente rientro’, non causandomi pressoche’ alcun danno. (si credevano loro). Avrei solo dovuto stare molto tra i miei coetanei perche’ avevo bisogno di maggior tempo per imparare le cose. (Spero abbiano pagato il doppio ogni insegnante che ho avuto dalla scuola materna all’universita’, se non fosse cosi, chiedo venia).

Bea, la bambina di pietra, invece, non ha ancora avuto una diagnosi. Le sue articolazioni sono bloccate, come una bellissima bambola di porcellana. Ma e’ una bambina. Ha dei sogni, dei desideri, ride, piange, mangia come tutti. Ma non puo’ fare tutto cio' in completa autonomia. E’ imprigionata nella sua armatura, nel suo corpo e non sa per quale motivo. Ha una famiglia straordinaria che, malgrado le difficolta’, sorride spesso e anche con i social, si diverte a rendere piu’ divertente la vita alla loro principessa. Per fare un esempio, la scorsa estate hanno realizzato un live dal loro soggiorno estivo in cui la zia Sara con la nonna e gli amici e i parenti, e naturalmente Bea, realizzavano un piatto culinario. Sono stati meravigliosi! E’ stato divertente vedere cucinare Bea e la zia – e ho anche imparato un sacco di cose, si, proprio io, che in cucina sono molto peggio di Linguini, lo chef pasticcione del cartoon Ratatouille! – Insomma, di programmi televisivi culinari ce ne sono sempre tanti, in Italia e non solo. Sono chiamati “chef pentastellati” da noi, ma Bea e la zia Sara sono le migliori chef che ho visto finora.


Le mie ricerche sul web quest’anno sono state concentrate maggiormente sull’Africa. Mi sono ricordata che il Sogno della mia vita, oltre a quello di scrivere, e’ proprio andare li’.

Questa volta, pero’, anziche' fermarmi al web, ho acquistato un libro , in inglese e in italiano, perche’ a leggere sul computer non mi sono ancora abituata e non posso resistere all’odore delle pagine di carta. E cosi il libro che ha segnato il 2017 e’ "Erano solo ragazzi in cammino". Alla fine della lettura, penso che sia impossibile non voler abbracciare e tranquillizzare il primo Sudanese che hai di fronte, nel cammino della vita. La motivazione e’ presto detta: noi diamo per scontato tante cose. i vestiti che abbiamo addosso, il cibo che mangiamo, i giocattoli quando siamo bambini, i nostri genitori e parenti, tutto. In quel libro, invece, viene raccontata una storia di persone che hanno la nostra stessa eta’ che, mentre noi ci lamentavamo perche’ la sveglia suonava sempre troppo presto, la cartella era troppo pesante, il dentista era troppo caro e gli occhiali dovevamo cambiarli ogni anno, camminavano a piedi nudi attraversando il deserto, senza mangiare e senza bere per giorni, senza sapere se la propria famiglia era ancora viva, verso un posto dove poter ricominciare a vivere.


E’ stato un anno di prime volte, per me. Puo’ sembrare strano, perche’ a trent’anni dovresti aver gia’ avuto le tue prime volte, ed invece nel mio caso non e’ stato cosi. Per la prima volta nella mia vita in questo 2017 ho preso la disoccupazione, anche se per poco tempo. Per la prima volta nella mia vita ho lavorato di notte. Lavorare di notte non e’ cosi tragico come puo’ sembrare. Alla mattina, quando le prime luci del sole illuminano le strade, e’ soddisfacente pensare che tu hai gia’ lavorato sei ore ed ora puoi andare a casa, farti una doccia e addormentarti tra le lenzuola mentre tutti gli altri sono a lavoro.

Una riflessione sul mondo del lavoro odierno mi e’ uscita mentre nutrivo l’asciugatrice dei copricuscini e dei tovaglioli. Pensavo alla poesia In love for long di Edwin Muir, che rimane in assoluto la mia poesia preferita. Riflettevo sull’amore che esiste nel mondo, su quanto sia importante l’amore per compiere qualsiasi azione. Perche’ quando si fa qualsiasi cosa con amore, la vita ti dona momenti e sensazioni uniche. Banalmente, penso a quando le persone fanno all’amore: si rilasciano endorfine, ovvero ormoni che hanno il potere di rilassare e di essere piu’ felici. Certo, anche il cibo rilascia gli stessi ormoni, ma quando si fa all’amore si uniscono due persone diverse. Che cosa c’entra questo con il proprio ambiente di lavoro? Vi chiederete. Presto detto. La macchina dei copricuscini funziona in modo tale che tutti siano importanti ed e’ piu' semplice lavorare quando ogni operatore collabora per aiutare il nastro che trasporta il materiale da inserire nella macchina aa ciascun operatore rispettivamente prima dall’alto al basso e poi da destra a sinistra. Se una persona pensa solo a se e a inserire cio’ che ha sotto di se, a un certo punto si ritrova con le mani vuote, e non si va da nessuna parte. Nel momento in cui, invece, non si smette mai di comunicare con i propri colleghi, ecco che il lavoro diventa piu’ semplice, piu’ leggero, e anche piu’ divertente. Si finisce a parlare con il proprio vicino, a fraternizzare con persone provenienti da paesi lontani, e a volte ci si puo’ innamorare del sorriso di chi lavora con noi.


“Who, then, in law, is my neighbour?” Lord Atkin 1932. Questa frase e’ scritta sul marciapiede vicino alla Uws di Paisley. E’ relativa al caso di un serpente trovato da una signora di Glasgow nel bicchiere di birra che aveva ordinato in un bar. La signora, scossa dall’evento, si rivolse a un avvocato per chiedere che la legge tutelasse maggiormente i consumatori degli esercizi commerciali. Nella targa a fianco vi e’ scritto che in tribunale si riporto’ il celebre passo della Bibbia del buon samaritano. In un’epoca in cui il lavoro e’ legato al profitto, questa storia mi ha fatto riflettere a lungo. Le domande a cui ognuno di noi deve darsi una risposta sono se il proprio lavoro, oltre a se stessi e alla propria famiglia, e’ utile per l’azienda in cui si e’ inseriti e per chi usufruisce di tali servizi. Se esiste qualcuno che critica la nostra professione, sappiamo per quale motivo lo fa? E’ solo gelosia e invidia o c’e’ altro? Se critica il modo in cui lavoriamo, perche’ lo fanno? Forse diamo delle informazioni errate, o non totalmente complete, magari perche’ non ci hanno formato abbastanza o non abbiamo avuto voglia di informarci a sufficienza? In che modo possiamo migliorare cio’? Il lavoro e’ una parte importante della vita di ogni persona, non solo per il mero lato economico, ma soprattutto perche’ ci da’ la dignita’ di individui che, oltre a servire a qualcosa, fanno qualcosa di utile per la societa’. E questa e’, a parer mio, esattamente la funzione della letteratura, che ho avuto il privilegio e la testardaggine di studiare per 5 anni all’universita’. Sfortunatamente, ci sono tanti autori che non ho ancora conosciuto, ma che non manchero’ di colmare le mie lacune il piu’ presto possibile.

La scrittura e’ la principale forma di letteratura. I romanzi, per esempio, a volte ci forniscono una visione della realta’ circostante complementare a quella giornalistica o documentaristica. Solo per fare un esempio, Momo di Michael Ende affronta il tema del tempo, rubato agli uomini adulti da dei fantomatici “uomini grigi” e si racconta come una bambina dai folti ricci corvini, riesca, dopo aver ascoltato e appreso il problema, a riportare agli uomini il tempo del cuore, di gran lunga piu’ prezioso della pecunia, in qualunque valuta monetaria lo si abbia. Momo capisce molte cose dalle parole di un anziano, che ogni mattina compie una semplicissima azione, ovvero scopare con una ramazza la strada.

"Vedi, Momo, è così: certe volte si ha davanti una strada lunghissima. Si crede che è troppo lunga, che mai si potrà finire, uno pensa."Guardò un po' in avanti davanti a sé e poi proseguì: "E allora si comincia a fare in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la strada non è diventata di meno. E ti sforzi ancora di più e ti viene la paura e alla fine resti senza fiato... e non ce la fai più.... e la strada sta sempre là davanti. Non è così che si deve fare." Pensò ancora un poco e poi seguitò: "Non si può mai pensare alla strada tutta in una volta, tutta intera capisci? Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre soltanto al gesto che viene dopo. Allora c'è soddisfazione; questo è importante perché allora si fa bene il lavoro. Così deve essere. E di colpo uno si a